Gli auguri di Natale
Il vero regalo dei Magi non fu tanto l’oro, l’incenso e la mirra, ma il tempo impiegato e i disagi sostenuti nella ricerca del nato Re…
La consuetudine dei doni natalizi risale al primo Natale del mondo. La crearono i Magi, i quali dovettero restare non poco sorpresi di presentare a un bambino i doni preparati per un re.
Dall’adorazione dei Magi nacque la festa liturgica dell’Epifania, donde la “Befana”. Non ho mai capito il rapporto tra il gentile e umano gesto dei sapienti venuti dall’Oriente e la vecchia Befana dal naso adunco e spettinata. Passi per la cenere e il carbone da mettere nella calzetta dei bimbi cattivi, ma per l’arancia e le due noci (la “ricca” befana della nostra infanzia!), via, bisognava inventare magari la fata dai capelli turchini. Ricordo che nemmeno allora potevo soffrire quella trista figura, la quale, grazie a Dio, sta quasi ovunque scomparendo.
Scomparsi sono anche certi regali simbolici per il primo dell’anno: una ghianda, simbolo di forza, un serpente (anche solo raffigurato), auspicio di salute – da Strenia, dea sabina della salute, deriva la “strenna” di Capodanno – fichi secchi e miele, perché l’anno scorra tutto nella dolcezza. Forse l’unica usanza ancor viva, almeno in Roma, sono le lenticchie che devono guarnire la mensa, equivalenti ad altrettanti soldoni per tutto l’anno. Nel Capodanno del fatidico 1870, il cardinale Prospero Caterini presentò a Pio IX un memoriale importante e riservatissimo. In calce, vi aggiunse un misterioso post scriptum: “Mi sono preso il privilegio di provvedere in cucina”. Il cardinale era di Onano, la cittadina laziale famosa per le sue lenticchie, e in quell’anno che si iniziava con oscuri presagi, egli aveva voluto, con quel piccolo tocco di umanità, accomunare, come per il passato, il papa all’ultimo dei suoi romani.
Consuetudine bellissima lo scambio di doni in una circostanza come il Natale, così carica di intimità e di dolcezza, così struggente di umano calore, così unica nel suo significato. Sul piano concreto la visione colma di poesia è andata perdendo quota man mano ed è finita, in non pochi casi, terra terra. Come i biglietti, anche i regali spesso non sono che un dovere delle pubbliche relazioni. Si compila la solita lista (questa, ovviamente, assai più ridotta dell’altra), si consegna al fioraio o a una ditta specializzata in pacchi natalizi, e il resto tocca al fattorino, il quale si sobbarca l’ingrata fatica per la speranza di una congrua mancia. Ogni anno, lo stesso regalo per la stessa persona attraverso la stessa ditta.
Così trattandosi di regali in serie e impersonali, se il primo mittente è tempestivo, il regalo può fare in tempo a passare da un domicilio all’altro due e anche tre volte: un vero palleggio al centrocampo, senza premura di insaccare in rete.
È stato scritto che il vero regalo dei Magi non fu tanto l’oro, l’incenso e la mirra, ma il tempo impiegato e i disagi sostenuti nella ricerca del nato Re, perché quel tempo e quei disagi erano qualche cosa di loro stessi.
Giustissimo. Il tempo che dobbiamo “perdere” nella scelta del dono o nell’invio di un biglietto personale di auguri (il discorso vale anche per chi deve rispondere) è ciò che rende prezioso e inestimabile anche il più modesto e inutile dono, perché è qualcosa di nostro, è una sia pur minima parte di noi stessi.
Il Natale, in fondo non è altra cosa e non ha altro significato: Dio che ha dato agli uomini se stesso, ha comunicato agli uomini la sua vita: Natalis Vitae.
Giovanni Antonazzi